Il trauma e il corpo che ricorda: quando l’anima resta prigioniera di una stanza chiusa

Nel dipinto La notte di Max Beckmann, siamo catapultati in una stanza deformata, abitata da corpi contorti, legati, invasi. L’immagine è disturbante, ma estremamente eloquente: descrive ciò che accade, a volte, nella mente di chi ha vissuto un trauma. Non c’è via d’uscita. Non c’è aria. Ogni cosa è immobilizzata in una tensione senza scampo. Nel lavoro psicoterapeutico, il trauma non è solo un ricordo doloroso: è una forma di esperienza congelata, spesso non verbalizzata, che il corpo continua a custodire molto dopo che l’evento è finito. Nella psicologia contemporanea, e in particolare nel lavoro con il corpo e la memoria implicita, si è compreso che il trauma non coincide solo con l’evento traumatico. Non è l’accaduto in sé, ma il modo in cui il sistema nervoso ha dovuto affrontarlo — o non è riuscito a farlo. Spesso la persona traumatizzata non ha potuto né reagire né fuggire. È rimasta intrappolata. E questa immobilità, questa impossibilità di risposta, continua a vivere dentro. Non sempre con ricordi chiari, ma sotto forma di sintomi: ipercontrollo, allerta costante, flashback, chiusura emotiva, ansia, distacco. Il trauma viene “incapsulato” nel corpo. Le tensioni muscolari, i blocchi respiratori, le posture rigide o collassate parlano di esperienze che non hanno ancora trovato parola. Come i corpi nella stanza di Beckmann, la psiche resta impigliata in una scena che si ripete — anche quando razionalmente “sappiamo” che è finita. La terapia, in questi casi, non può limitarsi alla parola. È necessaria un’attivazione lenta, rispettosa, che coinvolga il corpo, il respiro, la presenza. Che aiuti la persona a ritornare a sé stessa senza essere sopraffatta. Il quadro di Beckmann suggerisce anche una verità importante: il trauma chiude. Chiude le emozioni, chiude le relazioni, chiude la fiducia. Ma in terapia è possibile riaprire quella stanza. Non con forza, ma con delicatezza. Non rivivendo il dolore in modo crudo, ma imparando a guardarci dentro da un altro punto di vista. La presenza dello psicoterapeuta — regolata, calma, accogliente — offre un nuovo tipo di esperienza. Invece di un mondo che invade, si crea uno spazio che contiene. Invece della prigione, un contesto in cui si può cominciare a muoversi, anche solo interiormente. A volte il trauma inizia a sciogliersi non nel ricordo esplicito, ma nel piccolo movimento: un respiro più profondo, una parola finalmente detta, una lacrima che può uscire senza vergogna.

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